Aspettando Palermo. La voglia di rinascere di noi sopravvissuti (La Repubblica - Palermo 12 giugno 2012)
0di Evelina Santangelo
Se dovessi elencare gli eventi più memorabili della scorsa amministrazione, quelli che hanno fatto scalpore o comunque hanno lasciato un segno nella memoria collettiva, dovrei evocare, che so, la vicenda andata agli onori della cronaca (e finita nei tribunali) relativa al dipendente della Gesip assunto per chiamata diretta e addetto (nelle ore di lavoro) al ruolo di skipper (in nero) della barca del sindaco, o la sentenza del Tar contro la delibera che istituiva la Ztl, e tutte le goffaggini che sono seguite, o ancora l’abuso con cui il medesimo sindaco impegnò degli operai del comune per pulire una strada privata al fine di agevolare l’accesso al luogo in cui si sarebbe tenuta una festa di famiglia. Per non dire del caso degli assunti senza patente all’Amat, dell’accusa di disastro ambientale per la gestione dissennata della discarica di Bellolampo, della delibera con cui il sindaco vietava a funzionari e dirigenti del Comune ogni dichiarazione pubblica agli organi d’informazione. E dovrei ricordare il sorriso a 32 denti che puntualmente costellava ogni sua foto. E infine dovrei ricordare l’ambulante Noureddine Adnane esasperato dalla solerzia di una squadra di vigili urbani mentre la città soffocava sotto cumuli di rifiuti di ogni ordine e grado abbandonati tra cumuli di macchine, cumuli di tavolini, di gazebi abusivi, cumuli di sorrisi a 32 denti (locali e nazionali).
Così, quando appena qualche giorno fa, la mia amica scrittrice Helena Janeczek, arrivata a Palermo perUna marina di libri, sfogliando il programma del festival dell’editoria indipendente, e poi il programma delSicilia Queer filmfest, mi ha detto: «Però, in questa città siete vivi…», ho sorriso, pensando: «E già, siamo sopravvissuti». Sopravvissuti non solo all’abuso, all’appropriazione indebita, all’indifferenza generalizzata nei confronti di diritti fondamentali di cittadinanza, all’impunità divenuta sistema della non-gestione della cosa pubblica, ma anche alla totale incapacità, o sarebbe meglio dire disinteresse a concepire e pianificare una qualche idea di città. Così, paradossalmente, e a onor del vero, si dovrebbe riconoscere che questa Palermo dissestata (la «città-futura» che ci avrebbe lasciato il neo sindaco Cammarata, quando nel 2001 fu eletto primo cittadino della Palermo del nuovo millennio), in fin dei conti, è in gran parte frutto del caso, di un casuale e caotico degrado, di un casuale e caotico naufragio… più che di progetto.
Era dunque proprio quest’aria da gente sopravvissuta a un qualche naufragio che riassapora il piacere delle piccole cose, anche di aggirarsi nei luoghi pubblici, tra i beni culturali ritornati «casa comune», quella che si respirava in certi momenti (i più affollati) aUna marina di libria palazzo Steri. E aveva a che fare con questo senso di riappropriazione di un’idea di città anche il modo in cui sono suonate per molti le parole di Massimo Milani, portavoce del Pride, quando ha dichiarato: «Il Palermo pride è la casa di tutti i diritti non riconosciuti, e Palermo in questo è all’avanguardia...».
Perché una cosa sono gli eventi in sé (programmati da tempo, certo, ben prima che s’insediasse l’odierna amministrazione), e altra cosa è il modo in cui li si percepisce, li si vive. Una cosa è dare formalmente il benestare a una manifestazione, altra cosa è avviare scelte che siano coerenti, come occuparsi delle biblioteche di quartiere, ad esempio, (dei quartieri più periferici), perché la lettura e l’accesso a internet possano diventare, o comunque siano intesi davvero come un diritto di tutti… o fare i primi passi verso un Piano della linea del mare, che faccia diventare una volta per tutte le coste su cui si affaccia la città di Palermo luoghi degni di questo nome, godibili, abitabili: da Mondello alla Bandita, da Sferracavallo ad Acqua dei Corsari… Giusto per citare i primi atti o intenti dichiarati della nuova amministrazione.
È chiaro che la città che Palermo potrà diventare attiene a progetti ancora tutti da realizzare e declinare guardando al futuro, e non solo al passato, innovando e non solo conservando (e i modi e i termini in cui tutto ciò accadrà saranno determinanti), ma, dopo un decennio di palude e non-speranza, già il fatto stesso di poter solo tornare a immaginare una città, la Palermo dei prossimi anni, è una cosa importante, vitale. È ossigeno per tutti, anche per i più disillusi. Perché quel che immaginiamo e le aspettative che riponiamo in questo nostro immaginare una città che, per esempio, abbia standard di civiltà degni di questo nome a livello urbanistico, ambientale, sociale, produttivo, culturale… sono pungoli, patti non scritti, che esigono risposte puntuali, lungimiranti, e però certo anche un’assunzione di responsabilità collettiva, un «contagio di lungimiranza», mi verrebbe da dire.
D’altro canto se in questa città siamo «ancora vivi», come dice la mia amica scrittrice, è anche perché c’è chi ha fatto proprie le parole di Antoine de Saint-Exupéry: «Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito». C’è chi cioè ha tenuto viva la nostalgia per il mare vasto e infinito in tempi in cui s’allargava la palude. Lo ha fatto nella propria professione, nel volontariato, organizzando movimenti civici, tenendo viva la scuola, scommettendo sulla cultura, aprendo laboratori teatrali in scantinati, riaprendo le porte di teatri scippati alla cittadinanza, o ancora rivitalizzando cantieri culturali agonizzanti tra cumuli d’immondizia. E lo ha fatto contro ogni evidenza, ogni buon senso, puntando sul futuro appunto, sull’immaginazione e sul «contagio». Quello stesso «contagio» che, ad esempio, sta alimentandoLetti di notte(la più grande condivisione di lettori mai realizzata tra librerie indipendenti d'Italia che il 21 giugno vedrà Palermo partecipare con la libreria Modus Vivendi).
Adesso però è il tempo di tagliare la legna, dividere i compiti, concertare e compiere scelte, assumendosi poi l’onere di concretizzarle radunando e mettendo a frutto tutte le migliori forze e le migliori intelligenze (le migliori menti che sanno «intelligere», comprendere cioè le urgenze e le istanze della contemporaneità), perché questo è il compito precipuo di una buona politica che non voglia semplicemente cavalcare l’onda della nostalgia di un mare mai raggiunto. E, non lo dimentichi mai la nuova amministrazione: non è cosa da poco riuscire a dar corpo alle aspettative di gente soravvissuta. |